|  | La Coscienza, questa cosa per noi così 
            importante da essere l'elemento discriminante in alcuni processi penali 
            ( "...l'assassino é non punibile in quanto é risultato 
            essere non cosciente al momento dell'atto...") e tuttavia così 
            sconosciuta; familiare al punto da non accendere facilmente la nostra 
            curiosità, eppure così sfuggente davanti alla ricerca 
            ostinata di colui nel quale tale curiosità si é accesa. 
            Cos'é la Coscienza? E quale la sua natura? E' costante o variabile? 
            Possono sembrare domande gratuite tese solo a perdere tempo, ma quand'anche 
            fosse così reputo ugualmente necessario affrontare l'analisi 
            che seguirà non tanto per il gusto di soddisfare una curiosità, 
            quanto per contribuire a catalizzare la nostra attenzione sul "supporto" 
            della Coscienza, cioè l'Uomo, cioè noi stessi. Cominciamo pure da questo punto a noi così vicino e dal fatto 
            che si ritiene la Coscienza così nota da poter essere definita 
            "esattamente" in un qualsiasi dizionario. Seguiamo quindi 
            tale strada ed apriamo il nostro aggiornatissimo dizionario:
 Coscienza: consapevolezza, percezione che l'uomo ha di sé, 
            del proprio corpo, delle proprie sensazioni, delle proprie idee, dei 
            significati e fini delle proprie azioni; (psicologia) modo particolare 
            in cui le esperienze o i pensieri psichici, quali percezioni, ricordi, 
            eventi intellettuali, sentimenti, desideri ed atti della volontà, 
            sono dati e conosciuti al soggetto.
 Dopo un attimo di superficiale soddisfazione, man mano che le parole 
            si spengono e i relativi pensieri vengono digeriti, ci accorgiamo 
            che il problema viene solo spostato: cosa significano le parole "conoscere" 
            e "soggetto"? Riapriamo il dizionario:
 Conoscere : prendere possesso intellettualmente di qualunque aspetto 
            di quella che é considerata realtà; (filosofia) rapporto 
            tra soggetto e oggetto, tra pensiero ed essere, che si può 
            configurare in vari modi.
 Soggetto: l'io in quanto realtà pensante, specialmente in contrapposizione 
            all'oggetto pensato.
 E gia che ci siamo vediamo dunque pure:
 Oggetto: tutto ciò che il soggetto conoscente intende come 
            diverso da sé; tutto ciò che esiste di per sé, 
            indipendentemente dalla conoscenza.
 Mi sembra chiaro che almeno nel presente contesto la pretesa chiarezza 
              ed esaustivitá del dizionario esistono solo per chi si vuole 
              accontentare a tutti i costi, mentre anche una prima superficiale 
              analisi di ciò che é scritto ci fa necessariamente 
              notare che coscienza, conoscenza, soggetto, oggetto, realtà 
              formano una serie di concetti che si rimandano l'un l'altro reciprocamente, 
              senza quindi riuscire a stabilire niente di ben definito, e che 
              tuttavia ci ingabbiano nella loro inflazionata proliferazione di 
              caleidoscopiche mutue riflessioni dandoci l'impressione di sapere 
              cosa stiamo considerando. Ma é davvero così? Ripeto perciò le domande iniziali, rivolgendomi però 
              ora solo a chi non si soddisfa con una facile sensazione di indubbia 
              familiarità (ci mancherebbe altro che la coscienza non ci 
              fosse familiare!) ma vuoleprovare ad affrontare direttamente la questione. Proprio a tal fine 
              propongo paradossalmente di non cercare una risposta, ma di limitarci 
              ad analizzare tutto ciò che sappiamo lasciando che la risposta, 
              se pur ne esiste una, nasca da sola.
 E' innanzitutto evidente che la nostra concezione di "coscienza" 
              é una concezione duale che riflette la relazione soggetto-oggetto, 
              e che anche la cosiddetta autocoscienza nasce da un gioco di specchi 
              Soggetto-soggetto dove la S maiuscola indica il vero soggetto, mentre 
              la minuscola quello conosciuto (questo espediente grafico verrà 
              usato anche in seguito ogni qual volta la scelta di vocaboli differenti 
              ci allontanerebbe dall'argomento più dello sforzo di discriminare 
              fra. significati e ruoli diversi della stessa parola). Qualcuno 
              potrebbe obiettare a ragione che non sempre la coscienza é 
              duale, ma reputo che volendo partire da ciò su cui tutti 
              solitamente concordano, lasciando quindi da parte situazioni particolari 
              (anche se forse più vere), non possiamo non accettare la 
              natura duale di ciò che chiamiamo coscienza; prendendone 
              atto proviamo perciò a descriverla nelle varie situazioni 
              ed anzi, per semplicità di analisi, individuiamo tre situazioni 
              principali note a tutti per esperienza diretta. Voglio subito far 
              notare però che non per questo dobbiamo immaginare la coscienza 
              come saltellante bruscamente fra una situazione e l'altra; tale 
              suddivisione serve infatti solo per fissare degli stati di riferimento 
              al fine di poterne poi cogliere analogie e differenze, prescindendo 
              da tutte le possibili colorazioni intermedie che la coscienza può 
              assumere. Questi stati di riferimento li indichiamo con i termini 
              di Veglia, Sogno e Sonno (profondo).Lo stato di veglia si ha quando i sensi e la mente della persona 
              lavorano su dati condivisi o condivisibili con le altre persone; 
              questi dati vengono considerati come “esterni” alla 
              persona (per il momento tralasciamo di considerare come possa essere 
              effettivamente provata la succitata condivisione). Per stato di 
              sogno (comprendente allucinazioni, fantasie, stati estatici, etc…) 
              si intende la situazione coscienziale in cui sensi e mente lavorano 
              su dati non condivisi con altre persone; questi dati vengono perciò 
              considerati "interni" alla persona. Occorre subito notare 
              una cosa su cui ritorneremo meglio in seguito: la totale soggettività 
              dell'esperienza coscienziale in questione viene riconosciuta come 
              tale solo a posteriori e mai durante l'esperienza stessa!
 Questi primi due stati sono accomunati dal fatto che in entrambi 
              i casi abbiamo una certa organizzazione della "realtà" 
              percepita che rende impossibile la sua falsificazione all'interno 
              dell'esperienza stessa, a differenza di quanto succede con una normale 
              illusione (per esempio una illustrazione "tridimensionale" 
              non inganna il tatto).
 Propria quest’organizzazione e coerenza interne delle due 
              situazioni fanno sì che i bambini piccoli possano confondere 
              "realtà" e "fantasia", essendo per loro 
              ininfluente l'unico effettivo elemento discriminante: la conferma 
              delle proprie esperienze attraverso la loro condivisione con gli 
              altri!
 Il terzo stato, quello di sonno profondo, si ha quando non c'é 
              la percezione di nulla, quando soggetto e oggetto si fondono, o 
              meglio non sorgono per mancanza dell'oggetto che li "divide" 
              (vedere le definizioni già riportate di soggetto e oggetto). 
              Naturalmente anche in questo stato c'é una certa attività 
              cerebrale, con vita e "coscienza" vegetativa; ciò 
              che manca in fin dei conti é proprio la dualità che 
              caratterizza la nostra usuale concezione di coscienza. Inoltre anche 
              se solitamente si dice “nel sonno non sono cosciente di nulla", 
              sarebbe più esatto dire "sono cosciente di nulla" 
              per sottolineare che anche allora, durante il sonno profondo, la 
              Coscienza c'é ed é attiva. E non mi riferisco solo 
              alla predetta "coscienza vegetativa", cioè alla 
              consapevolezza che il corpo deve avere di sé per non morire, 
              ma al fatto che se la coscienza durante il sonno fosse effettivamente 
              assente non potrebbe poi esserci, durante la veglia, la coscienza 
              che “io ero incosciente” (se ciò fosse vero al 
              mio risveglio in una stanza buia io non potrei sapere di aver dormito, 
              mentre tutti ne siamo consapevoli anche prima di avere dei riscontri 
              esterni).
 Potremmo riassumere queste ultime osservazioni dicendo che una "coscienza" 
              non duale non viene solitamente presa in considerazione, anzi che 
              l'esistenza di una forma di coscienza senza oggetto (e quindi senza 
              soggetto) viene di solito rifiutata nonostante vengano comunemente 
              accettate sia la continuità che l'identità del senso 
              dell'io nell'alternarsi dei tre stati, il fatto cioè che 
              "io che sto scrivendo, io che stanotte ho sognato di essere 
              in America ed io che poi ero incosciente sono sempre la stessa persona!". 
              Possiamo esprimere quest’ultima convinzione anche in un altro 
              modo, dicendo cioè che "coscienza" e "lo" 
              risultano sempre presenti, e sempre assieme, pur assumendo sia l'una 
              che l'altro forme diverse nelle diverse situazioni. Voglio far notare 
              però che l'Io che qui affermiamo essere sempre presente é 
              il Soggetto effettivo e non l'idea-io (cioè l'ego ) che sorge 
              considerando i vari atti del Soggetto. L'ego, infatti, sparisce 
              durante il sonno profondo, pur persistendo come abbiamo visto il 
              senso di identità e di continuità del Soggetto, e 
              non é altro che l'oggetto del processo di autocoscienza.
 L'osservazione riguardante la persistenza nel tempo di Coscienza 
              e Soggetto ci induce a postularne la Realtà, almeno nella 
              loro essenza ultima, volendo con ciò indicare proprio il 
              loro essere sempre esistenti . Anzi già a questo punto sorge 
              spontaneamente il legittimo dubbio che Coscienza e Soggetto siano 
              solo due diversi aspetti della stessa "cosa" dato che, 
              se così non fosse, dovrebbe essere possibile almeno in qualche contesto 
              separarli ed avere a disposizione solo l'uno o l'altro di essi: 
              questo però non fa parte della nostra esperienza.
 
 Di ciò comunque ci occuperemo più specificatamente 
              in seguito, mentre per ora torniamo a considerare la differenza 
              fra Soggetto (o Sé, secondo una diversa terminologia) ed 
              ego. Abbiamo già visto che l'ego c'é solo quando il 
              Sé considera sè stesso, cioè prende mentalmente 
              coscienza della propria esistenza; ciò che solitamente si 
              chiama autocoscienza è anzi in realtà coscienza dell'ego 
              e non del Sé, proprio perché la coscienza-consapevolezza 
              solitamente si considera solo a livello mentale (il dizionario conferma!). 
              E’ peraltro vero che quando il Soggetto analizza sè 
              stesso non può fare a meno di analizzare l'ego, e anzi si 
              può dire che “io” (=ego) è proprio il 
              Sé-Soggetto che si analizza-conosce mettendo la mente al 
              lavoro, la quale mente ad un tempo crea e viene creata nel processo 
              di percezione-analisi-concezione. L'interdipendenza causale di mente 
              ed ego fa sospettare in ultima analisi la loro identità, 
              riferendosi le rispettive differenze ancora una volta solo all'aspetto 
              considerato, analogamente alla sospettata identità Coscienza-Soggetto 
              postulata precedentemente.Torniamo però a considerare i tre stati di coscienza soprattutto 
              in relazione a chi conosce che cosa nelle varie situazioni. Cominciamo 
              dal sogno. Qui siamo tutti facilmente disposti a riconoscere (anche 
              se solo a posteriori, durante la veglia!) che il mondo che Io percepisco 
              in sogno fa parte di me, é una mia creazione mentale, é 
              solo un aspetto della mia mente. Posso dire che in questo stato 
              il Soggetto ha coscienza del Soggetto come diverso da sé 
              stesso . Consideriamo ora la veglia dove, come visto, la differenza 
              principale rispetto al sogno é la condivisione del "materiale" 
              percepito e la conseguente conferma della sua esistenza "reale" 
              (=condivisa) e non "irreale" (=soggettiva). E' bene però 
              notare l'arbitrarietà di questa differenziazione che pur 
              ha una sua validità pragmatica. Infatti reputando reale solo 
              ciò che é condiviso, e condivisibile solo ciò 
              che é reale, si innesca un circolo vizioso che trova la sua 
              giustificazione solo in una precedentemente accettata divisione 
              fra ciò che é reale e ciò che non lo é, 
              non fornendo esso stesso alcun elemento indipendente per stabilire 
              la realtà o meno di un oggetto che arriva alla nostra coscienza. 
              Inoltre i meccanismi cognitivi finali , quelli tanto per capirsi 
              che rappresentano l'ultimo passo prima della "presa di possesso" 
              coscienziale di un certo "oggetto", sono gli stessi sia 
              nel sogno che nella veglia, variando nei due casi solo l'origine 
              degli impulsi nervosi che fanno poi sorgere una data percezione. 
              Come viene d'altronde provata l'effettiva condivisione con qualcun 
              altro del dato- oggetto percepito, cioè l'esistenza "reale" 
              degli oggetti indipendentemente dal soggetto percepiente? La risposta 
              é che non viene né può venir provata! Infatti 
              tutto ciò che viene sottoposto a verifica, scambiato e perciò 
              condiviso , non é altro che il frutto della percezione di 
              qualcuno . Il tutto é sicuramente ben organizzato e non falsificabile 
              all’interno della situazione di veglia (ma questo vale anche 
              per il sogno!), però nostro malgrado non abbiamo alcuna prova 
              dell'esistenza di qualcosa indipendentemente dalla percezione di 
              qualcuno (non per niente gli Indiani Vedantini indicano Sat-Chit, 
              cioè Essenza-Conoscenza, come aspetti primari, unitari e 
              non differenti del Reale!). In base a tutti gli elementi che siamo 
              venuti elencando precedentemente mi sembra che si possa benissimo 
              dire che anche nello stato di veglia il Soggetto ha coscienza (solo!) 
              del Soggetto come diverso da sé stesso, non essendoci fra 
              sogno e veglia alcuna differenza sostanziale tale da provare che 
              nella veglia le cose siano effettivamente diverse. La resistenza 
              psicologica all'accettare tale fatto nasce dall'unica vera differenza 
              fra sogno e veglia, e cioè che mentre il sogno lo possiamo 
              analizzare dallo stato di veglia (scoprendo così l'identità 
              fra sognatore e oggetto sognato) non si riesce mai ad analizzare 
              lo stato di veglia da uno stato coscienziale diverso.
 Consideriamo infine il sonno profondo. Come già detto qui 
              non c'é alcuna percezione, alcuna conoscenza, essendoci tuttavia 
              la coscienza di questa non percezione. Possiamo quindi dire che 
              ora il Soggetto non ha coscienza di alcun oggetto o meglio, visto 
              che anche negli altri due stati qualsiasi "oggetto" non 
              era altro che il Soggetto, si può dire che nel sonno profondo 
              il Soggetto non ha coscienza del Soggetto. Venendo a cadere la dualità 
              soggetto-oggetto abbiamo qui una unità nella quale "qualcosa" 
              comunque c'è, e sia per continuità che per le osservazioni 
              iniziali sulla persistenza del Sé nei tre stati coscienziali, 
              assumiamo che questo "qualcosa" sia proprio il Soggetto, 
              il Sé (non é certo pleonastico ribadire che il Soggetto 
              di cui si parla qui é qualcosa di completamente diverso dal 
              soggetto-ego che noi percepiamo nella veglia e/o sogno).Fino a qui abbiamo trattato solo cose che appartengono a ciascuno 
              di noi per esperienza diretta e che pur analizzate e confrontate 
              in modo forse inusuale non hanno subito alcuna "aggiunta" 
              arbitraria. Proviamo invece ora a lavorare di fantasia. Estrapolando 
              le precedenti osservazioni possiamo dire che quando (e se!) il Soggetto 
              ha coscienza del Soggetto come Sé stesso (affermazione A) 
              usciamo necessariamente dai tre usuali stati di coscienza. Lo stesso 
              verbo "avere coscienza di..." cambia qui significato venendo 
              a cadere la differenza (anche se illusoria) fra soggetto e oggetto, 
              e quindi anche la possibile relazione-presa di coscienza fra di 
              essi. In questo per noi ipotetico stato, pertanto, il Soggetto non 
              ha più coscienza (affermazione B), né nell'accezione 
              comune del termine né in quella "allargata" da 
              noi usata in relazione al sonno profondo. Abbiamo allora qui (in 
              questo ipotetico "qui") due conclusioni contraddittorie 
              (affermazioni A e B) che riflettono le limitazioni intrinseche del 
              linguaggio che siamo costretti ad usare, purtroppo l'unico da noi 
              elaborato durante secoli di esperienze in cui evidentemente "questo" 
              stato di coscienza o non si é mai concretizzato o non lo 
              é stato con sufficiente diffusione e condivisione. Resta 
              comunque il fatto delle due conclusioni contraddittorie a cui siamo 
              pervenuti; come uscirne? Si potrebbe evitare il problema dicendo 
              che "questo" ipotetico stato dimostra così la sua 
              assurda inconsistenza, ma sarebbe secondo me perlomeno limitativo 
              postulare una Coscienza che c'é sempre (come siamo stati 
              costretti a fare all'inizio!) fuorché quando conosce e riconosce 
              Sé stessa (cadendo qui la dualità soggetto-oggetto 
              anche la relazione-coscienza si fonde nell'unità onnicomprensiva 
              che ne risulta, e quindi Soggetto-Coscienza-Oggetto diventano sinonimi 
              senza alcuna differenza). Per questa ragione propongo invece di 
              superare la precedente contraddizione agendo sulle parole usate, 
              unificando cioè le affermazioni che "il Soggetto ha 
              Coscienza del Soggetto come Sé stesso" e che "il 
              Soggetto non ha più coscienza" nella seguente sintesi: 
              in questo stato il Soggetto é Coscienza, dove "essere" 
              significa identità e non attribuzione nominale!
 
  Tutto questo che per noi é solo un esercizio di "fantasia" 
              logico-verbale, da alcuni rappresentanti di certe scuole di pensiero 
              viene presentato come un fatto di esperienza diretta, ed io non 
              mi sento di rifiutare a priori questa possibilità solo perché 
              non appartiene alla mia esperienza personale. Nell'Advaita Vedanta, 
              per esempio, questo "stato" per noi ipotetico viene indicato 
              con il termine Turiya, cioè il Quarto. La scelta di questo 
              termine serve solo ad indicare che esso non é uno dei tre 
              stati ordinari di coscienza, e non per affermare che esso é 
              effettivamente uno "stato" di coscienza: Turiya é 
              la Coscienza, é ciò che la Coscienza é sempre 
              , é ciò che il Soggetto é sempre , é 
              (dal nostro punto di vista) la Coscienza cosciente di Sé 
              stessa.
 Siamo ora arrivati al punto limite della strada così come 
              l'abbiamo affrontata, puntando cioè l'attenzione sul Soggetto 
              "titolare" dei vari stati di coscienza, ed abbiamo visto 
              come ad un certo punto tutto (Soggetto-Oggetto-Coscienza) si fonda 
              in un'unità indifferenziata. Proviamo adesso a ripercorrere 
              la stessa strada variando però leggermente il nostro punto 
              di vista; centrando l'attenzione direttamente sulla Coscienza come 
              entità primaria possiamo così rivedere quanto già 
              detto e riflettere sulle sue implicazioni. La domanda principale 
              che ci troviamo davanti riguarda secondo me l'esistenza e la differenziazione 
              di ciò che la nostra coscienza ci propone, domanda che nel 
              corso dei secoli ha avuto ogni genere di risposta, più o 
              meno realista, idealista o nichilista secondo le diverse scuole 
              o correnti filosofiche. Per quanto mi riguarda vorrei qui seguire 
              l'impostazione data al problema dall'Advaita Vedanta, scuola di 
              pensiero indiana, se non altro perché ciò che ne costituisce 
              il "nocciolo" mi sembra possa assumersi benissimo come 
              denominatore comune ed elemento unificante delle diverse varie visioni 
              possibili.
 Cominciamo allora dallo stato prima considerato "finale", 
              quel quarto stato, o Turiya, indicato ed affermato proprio dal Vedanta. 
              A questo stato coscienziale, come visto, non corrisponde alcun universo 
              o mondo percepito, almeno come noi lo intendiamo normalmente. Ciò 
              taglia alla radice (per quanto riguarda Turiya) il problema dell'esistenza 
              e differenziazione dell'oggetto dell'atto coscienziale proprio poiché 
              tale oggetto viene a mancare. Qui tutto E' e basta, al di là 
              dell'esistere o non esistere, "indicabile" solo per successive 
              negazioni sia di ogni possibile caratterizzazione in positivo (relativa 
              agli stati di veglia e sogno) che in negativo (relativa cioè 
              al sonno profondo dove si dice "non esserci" nulla). Ciò 
              che non appartiene alla nostra esperienza comune, e quindi al linguaggio 
              da noi elaborato in base a tale esperienza, non portá mai 
              venire definito propriamente in modo costruttivo: si potrà 
              solo cercare di lasciare il maggior spazio possibile all'avvento 
              di una qualche forma di intuizione personale attraverso l'eliminazione-negazione 
              di ogni ingombrante forma estranea preesistente. Quindi tutto ciò 
              che possiamo dire é che in Turiya non c'é spazio nemmeno 
              per la "formulazione" del problema dell'esistenza o meno 
              del mondo ( per inciso faccio osservare che questo é secondo 
              me l'unico modo per rispondere in modo definitivo ad una qualsiasi 
              domanda: eliminare la possibilità del suo insorgere!).
 
 Scendiamo allora di uno scalino, e consideriamo la Coscienza nello 
              stato di sonno profondo. I Vedantini la indicano con il termine 
              Prajna, cioè "massa indifferenziata di coscienza", 
              per indicare che qui c'é una certa forma di coscienza (quella 
              che ci permette di "ricordare" la cosiddetta incoscienza), 
              ma essa é indifferenziata mancando l'oggetto. Potremmo dire 
              che qui il meccanismo della proiezione duale si é bloccato 
              (oppure che non é partito!), fatto che i Vedantini esemplificano 
              dicendo che qui c'é Avidya ma non c'é Maya, cioè 
              c'é l'ignoranza (della identità ultima di Soggetto-Coscienza-Oggetto) 
              ma non c'é l'azione del Potere Proiettivo o Illusione Cosmica 
              (che crea l'Oggetto-Universo separato dal Soggetto percepiente). 
              Prajna rappresenta in definitiva la Coscienza indeterminata, per 
              certi versi "non esistente", dalla quale scaturiscono 
              poi i due stati determinati della veglia e del sogno. E' per questo 
              che Prajna viene anche considerata come la "causa" degli 
              altri due stati, il Corpo Causale del Soggetto-Coscienza, laddove 
              Turiya é al di là anche di ogni rapporto di causa-effetto 
              con chicchessia. E' proprio l'apparizione della causalità, 
              anche se un po’ sfuocata ed ai margini di una qualsivoglia 
              relazione, che permette di distinguere Prajna e Turiya riguardo 
              al problema della esistenza del "mondo". Infatti mentre 
              riguardo la sua differenziazione non c'é alcuna differenza 
              fra i due stati coscienziali fin qui considerati (in entrambi i 
              casi infatti non c'é alcuna differenziazione), l'apparizione 
              della causalità in Prajna fa sì che qui ci sia un 
              mondo , per quanto "buio", compatto, informe e indifferenziato 
              possa essere. Inoltre questo mondo deve esistere in quanto causa 
              di ciò che per noi esiste (mondo del sogno, ma sopratutto 
              della veglia), a meno che non vogliamo ridefinire il concetto stesso 
              di "esistenza" confinando tutto l'Universo in un vuoto 
              idealismo tendente al nichilismo. Dobbiamo però stare attenti 
              a come usiamo le parole, perché anche con Prajna non siamo 
              rientrati completamente nelle esperienze comuni che hanno formato 
              il nostro comune linguaggio. Per "esistenza" dobbiamo 
              perciò cercare qui di intendere (=immaginare) qualcosa che 
              "c'é" ma non é nulla (di definito), richiesta 
              indubbiamente difficile ma assolutamente indispensabile se vogliamo 
              cogliere la peculiarità di Prajna rispetto agli altri stati.Facendo un ulteriore passo consideriamo ora la Coscienza nello stato 
              di sogno, detta Taijasa secondo la denominazione vedantica. Taijasa 
              significa "splendente", a sottolineare il fatto che nel 
              sogno la coscienza lavora in autarchia, cioè essa stessa 
              crea (risplendendo) le forme che poi registra (venendone "illuminata"). 
              Qui finalmente appare la differenziazione delle forme, ed un intero 
              Universo (quello dove "siamo" mentre sogniamo) nasce dal 
              gioco di Maya permesso da Avidya.
 La differenziazione universale appare non appena ha luogo la prima 
              basilare differenziazione soggetto-oggetto, e questa "contemporaneità" 
              molto probabilmente non é casuale. Resterebbe da vedere se 
              é veramente la frattura io-non io ad innescare il lavoro 
              di Maya, o se piuttosto non é il lavoro di quest'ultima che 
              fa sorgere (come conseguenza di un'analisi a posteriori) la predetta 
              dualità; nel presente contesto basta comunque sottolineare 
              la nascita della dualitá-molteplicitá in Taijasa, 
              evidenziarne il carattere "illusorio" nascendo essa in 
              definitiva solamente da un "gioco di specchi" all'interno 
              del Soggetto, e spiegare così perché solitamente si 
              traduce il termine sanscrito Maya con "illusione". Per 
              quanto riguarda invece l'esistenza del mondo di Taijasa, possiamo 
              tranquillamente affermare che esso sì esiste, ma deriva la 
              propria esistenza da quella del Soggetto-Coscienza di cui l'universo 
              relativo a Taijasa non é che un aspetto. Vediamo allora come, 
              se adottiamo per un attimo l'infelice ma usuale equiparazione fra 
              illusorietá ed inesistenza, lo stato di Taijasa non é 
              poi così diverso da Prajna, almeno per quanto riguarda la 
              risposta che ci troviamo a dare al quesito di partenza: in entrambi 
              i casi il relativo "mondo" esiste, acquista tale esistenza 
              dall'esistenza del Soggetto-Coscienza essendone non-separato, mentre 
              non esiste la differenziazione formale o perché illusoria 
              (Taijasa) o perché assente (Prajna). E' doveroso segnalare 
              che alcune scuole di pensiero non sono disposte a riconoscere al 
              Soggetto nessuna forma di esistenza-realtá, in qualsiasi 
              stato di coscienza esso si trovi, e quindi naturalmente nemmeno 
              all'universo-oggetto relativo. Mi sembra comunque che in questi 
              casi si abbia a che fare o con un nichilismo oltranzista, e secondo 
              me gratuito, oppure con posizioni che dietro parole formalmente 
              diverse nascondono visioni in definitiva molto simili di Ciò 
              che le parole non possono nemmeno sfiorare; in entrambi i casi penso 
              che possiamo tranquillamente e con sufficiente genericità 
              proseguire sulla strada intrapresa.E’ giunto così il momento di considerare la Coscienza 
              nel suo stato più "comune", o almeno quello a cui 
              più spesso si dà importanza, considerazione e rispetto: 
              lo stato di veglia. Il fatto che uno dei significati più 
              correnti della frase "essere cosciente" sia quello di 
              "essere svegli" dimostra oltre ogni dubbio quanto abitualmente 
              identifichiamo la Coscienza con il solo suo stato di veglia, detto 
              in sanscrito Vaisvanara . Il significato etimologico di tale parola 
              (Vaisva=tutti; Nara=uomini) riassume la caratteristica principale 
              di questo stato, che come abbiamo visto nella prima parte del presente 
              studio é proprio la condivisione con tutti gli esseri dell'Universo 
              ad esso relativo. Sempre nella prima parte abbiamo inoltre visto 
              come i meccanismi coinvolti nel processo cognitivo-coscienziale 
              siano essenzialmente gli stessi in Vaisvanara e Taijasa, il che 
              porterebbe a rispondere al problema dell'esistenza e differenziazione 
              del mondo di Vaisvanara come già fatto per Taijasa; d'altro 
              canto però le riconosciute "esternitá" (pur 
              se proiettata!), continuità, spazialità, temporalità 
              e coerenza causale date dalla condivisione rendono il mondo di Vaisvanara 
              "reale" (e pragmaticamente lo é!) in un modo totalmente 
              diverso da quello di Taijasa, e per tale ragione sollecitano risposte 
              diverse alla domanda di fondo.
 
 Personalmente sono convinto che per due persone realmente telepatiche 
              il pensiero comune sia altrettanto "esterno" ed oggettivo 
              di un qualsiasi altro oggetto facente parte della loro esperienza 
              comune, ma comunque ciò non infirma il fatto che per noi 
              il mondo della veglia é tanto più vero del mondo del 
              sogno da farci ritenere il primo addirittura la "causa" 
              del secondo (ritenuto irreale e inesistente, nel senso usuale del 
              termine), ritrovando in quest' ultimo le stesse forme e relazioni 
              che siamo soliti riconoscere nel mondo di veglia; si "conosce" 
              durante la veglia e si "rielabora" durante il sogno, o 
              almeno così pensiamo di solito e così continuano e 
              continuiamo ad insegnare. Non metto in discussione la possibilità 
              o plausibilità di questa posizione, ma vorrei almeno far 
              notare che dal punto di vista logico, a parte l'aprioristica attribuzione 
              di unica "realtà" alla veglia in base alla pragmaticamente 
              accettata condivisíone, non c'é alcuna prova che il 
              sogno sia meno rea!e della veglia e tantomeno che sia qualcosa di 
              illusorío nel senso di non esistente. Mi sento perciò 
              spinto ad associarmi al prof. I. Vecchiotti quando, nell'introduzione 
              all'Agama-Sastra di Gaudapada (ed. Ubaldini-Roma - 1989) dice testualmente: 
              ... “le certezze del mondo fenomenico hanno alla base una 
              realtà che non dà alcuna verità alle certezze, 
              ma che le mantiene nel loro essere certezze!”. Sembra quasi 
              che la verità pragmatica non si accontenti della sua indiscussa 
              totale funzionalità e, sentendosi "insicura”, 
              cerchi una sua “giustificazione” esterna in una qualche 
              forma di "realtá" che però ín effetti 
              né le appartiene né le é necessaria per gli 
              scopi che essa persegue. Tornando allora alla questione dell'esistenza 
              e differenziazione del mondo di veglia, la posizione più 
              plausibile (o meno arbitraria) in base a tutto quanto è stato 
              detto mi sembra proprio la conferma in Vaisvanara di quanto già 
              detto per Taijasa, nonostante le indubbie differenze, e cioè 
              che anche il mondo di veglia esiste ma la sua differenziazione é 
              solo illusione.In Taijasa ogni oggetto non é che una forma destinata ad 
              essere subito dopo soppiantata da un altra, mentre in Vaisvanara 
              l'oggetto viene ripetuto e riconfermato attraverso la condivisione 
              fino al punto di renderlo "reale"; non c'é però 
              nulla di più della sua condívísione-ripetizione 
              a renderlo “diverso” da un sogno! Con un esempio potremmo 
              dire che nel “cammino” percettivo della coscienza formalizzata 
              un sogno é un semplice punto di transito, mentre un oggetto 
              dello stato di veglia può essere paragonato a un "crocicchio" 
              o una "piazzola di sosta". Qui si “fermano" 
              tante persone, con i sensi "esterni" al lavoro su cose 
              condivise (e contemporaneamente create!) da tutti; poi in sogno 
              le forme si evocano anche senza “l’oggetto", come 
              un linguaggio appreso, oppure si incontrano-costruiscono per l'evanescente 
              attimo percettivo (non confermato dalla condivisione) di una “singola" 
              coscienza. La "realtà" della differenziazione sta 
              tutta nel gioco di Maya, movimento della mente-coscienza che attraverso 
              successive divisioni-particolarizzazioni prima "crea" 
              e poi "riconosce" tutto ciò che "esiste"; 
              a tal riguardo il seguente brano tratto dalla Chandogya Upanishad 
              é particolarmente esplicito: "tutto ciò che é 
              modificazione esiste solo come nome, avendo la parola come supporto".
 
 Possiamo ora rivedere ulteriormente il tutto sfasando ancora leggermente 
              il nostro punto di vista e concentrandoci, dopo Soggetto e Coscienza, 
              sull'Oggetto dell'atto coscienziale nei diversi stati considerati. 
              Ad ogni stato di coscienza possiamo in un certo senso far corrispondere 
              un intero Universo, costituito dal punto di vista della coscienza 
              "singola" dalla somma delle percezioni (vedi nota 1) di 
              tutti gli esseri (uomini e ...), limitandoci naturalmente a quelle 
              concernenti lo stato di coscienza considerato, oppure, dal punto 
              di vista della Coscienza "universale" (=somma delle varie 
              coscienze singole)  Nota 1: Si intendono qui sia le percezioni "dirette" 
              che quelle "incrociate", cioè le implicazioni di 
              quelle dirette, le implicazioni delle implicazioni, etc... in definitiva 
              le leggi! Nelle "leggi" alla fine non ritroviamo infatti 
              nient'altro che la nostra logica proprio perché noi l'abbiamo 
              messa li, come esemplifica il grande fisico Sir A. Eddington quando 
              disse:"ho inseguito delle orme sconosciute sulla spiaggia del Creato 
              per scoprire alla fine che erano le mie!"dall'insieme degli 
              "oggetti" registrati da tale Coscienza. Alla fine non 
              cambia nulla: ogni Universo ha un carattere "universale" 
              (la ridondanza non é casuale!), ed é qui, in questo 
              contesto, che la possibilità di una Coscienza Cosmica che 
              unifichi e conglobi tutte le varie coscienze singole trova le sue 
              maggiori giustificazioni. Prima di descrivere i vari “Universi”, 
              voglio però sottolineare che le correlazioni fra stato coscienziale 
              ed universo corrispondente vanno prese, alla luce di quanto precede, 
              come identità sostanziali di due diversi aspetti della stessa 
              “Cosa” nati dal diverso punto di vista considerato; 
              si dovrebbe cioè tenere presente che, per esempio, la Coscienza 
              nello stato di veglia é l'Universo dello stato di veglia, 
              con la chiarezza che la conoscenza di un dato Universo può 
              quindi indurre sulla conoscenza del rispettivo stato coscienziale, 
              e viceversa. Continuando ad usare la terminologia vedantica soprattutto 
              per ragioni di comodità (la nostra cultura infatti non si 
              é mai presa la briga di catalogare e definire questi vari 
              universi), diremo allora che a Vaisvanara corrisponde Virat, cioè 
              l'universo cosiddetto grossolano o materiale. Non voglio soffermarmi 
              qui su cosa effettivamente significa "materiale" e se 
              sia effettivamente diverso da "mentale" o "spirituale". 
              Tutti i discorsi precedentemente fatti sollevano già secondo 
              me sufficienti dubbi sull'evidenza ed ineluttabilità di tale 
              divisione, e la stessa cosa fanno tutte le varie malattie "psicosomatiche" 
              dove mente e materia si "fondono" ed interagiscono in 
              barba ad ogni divisione; d'altronde qui mi basta indicare cosa si 
              intende per Virat, e se poi ci accorgiamo che non é così 
              "diverso" dagli altri "mondi" come pensiamo 
              di solito... tanto meglio. Voglio sottolineare però il fatto 
              che Virat é l'unico universo riconosciuto da tutti come reale, 
              l'Universo per antonomasia, conseguenza questa e causa del perpetuarsi 
              della nostra cultura prettamente materialistica. Facciamo quindi 
              finta di conoscere bene Virat, o almeno di sapere di cosa si sta 
              parlando, e passiamo all'universo che "emerge" durante 
              il sogno: Hiranyagarbha, ciò di cui é cosciente Taijasa, 
              la Coscienza che "sogna". Esso costituisce l'insieme di 
              tutti i pensieri, le emozioni, etc...universali, rappresenta quello 
              che si indica anche come Corpo Sottile dell'Universo, "causa" 
              in un certo senso di Virat (l'idea nasce prima dell'atto), "causato" 
              per altri versi dallo stesso Virat (l'oggetto determina le idee 
              e le emozioni corrispondenti). Tutte queste ambigue relazioni causali 
              vengono letteralmente a cadere se si pensa che la Coscienza é 
              una, e Vaisvanara-Virat e Taijasa-Hiranyagarbha non sono che nomi-aspetti 
              della stessa. Hiranyagarbha é pure il nome che in altri contesti 
              si dà a Dio sia come essenza creatrice immanente che come 
              "forma" ultima prima della dissoluzione delle varie forme 
              in un'unità indifferenziata, a testimonianza del fatto che 
              l'universo sottile é comunque da considerare la "via 
              di mezzo" fra Virat e Ishvara. Abbiamo così introdotto 
              il terzo "universo" del nostro elenco, Ishvara, quello 
              corrispondente a Prajna, la Coscienza indifferenziata che associamo 
              allo stato di sonno profondo. Proprio per questo non possiamo dare 
              una descrizione di Ishvara né riguardo la "forma" 
              (che non c'é!) ne riguardo i suoi "contenuti" che 
              senza forma non possono in nessun modo venir individuati (cioè 
              distinti l'uno dall'altro). Per Ishvara si può solo ripetere 
              ciò che abbiamo già detto per Prajna: una massa indifferenziata 
              di Coscienza questa, un'Unità senza alcun "appiglio" 
              per una possibile descrizione, quello. Con Ishvara indichiamo l'Unità 
              di fondo di tutto ciò che esiste, la radice immanifesta del 
              Manifesto (Hiranyagarbha e Virat), ciò che possiamo solo 
              intuire o postulare ma non cogliere con qualsiasi processo coscienziale 
              duale.
 
 Anche al "quarto" stato coscienziale, o Turiya, il Vedanta 
              fa corrispondere un "universo", detto Brahman. Qui viene 
              evidenziato ancor più quanto già detto per Ishvara, 
              e cioè che anche Brahman non é un universo in quanto 
              collezione di vari oggetti diversi, bensì in quanto "controparte" 
              (necessaria per amore di analisi, ma in realtà identica ) 
              della Coscienza in un certo stato. E' abbastanza difficile, se non 
              impossibile, evidenziare verbalmente le "differenze" fra 
              Ishvara e Brahman, entrambi essendo un'unità indifferenziata 
              al di là di ogni definizione, e forse solo la presenza o 
              meno della causalità può aiutarci a distinguerli. 
              Ishvara infatti rappresenta in un certo senso la causa degli universi 
              formali Virat e Hiranyagarbha, Brahman invece é al di là 
              anche del concetto di causa, E' e basta (come già detto peraltro 
              di Turiya). Più di tante parole può aiutarci un esempio 
              concreto. Un dischetto per computer vergine, appena acquistato, 
              é impossibilitato a svolgere il suo compito, non può 
              cioè venir registrato con dati ed istruzioni. Se noi infatti 
              proviamo ad usarlo ci viene subito segnalata da parte del computer 
              la propria incapacità di entrare con esso in rapporto costruttivo 
              (causale!) essendo il dischetto inadeguato per un uso che (notiamolo!) 
              non intacca comunque mai la sua essenza coinvolgendo solo una certa 
              disposizione-ordine delle componenti magnetiche del dischetto stesso. 
              In gergo si dice che il dischetto esce dalla fabbrica "non 
              formattato" e che per poterlo usare noi dobbiamo perciò 
              prima di tutto "formattarlo" (l'operazione consiste nel 
              creare una certa "griglia" di riferimento rispetto alla 
              quale poter poi lavorare efficacemente, cioè causalmente). 
              Il dischetto é sempre lo stesso, altrettanto "bianco" 
              per quanto riguarda istruzioni registrate, ma solo dopo essere stato 
              formattato é pronto per accogliere le eventuali registrazioni. 
              L'esempio promesso nasce a questo punto dal paragonare Brahman ad 
              un dischetto vergine, Ishvara allo stesso dischetto dopo essere 
              stato formattato, Hiranyagarbha al dischetto con registrate istruzioni 
              relative al solo dischetto in questione, Virat al dischetto quando 
              vengono registrate anche istruzioni destinate all'esterno, cioè 
              ad altri dischetti-utenti collegati a quello in questione (in questi 
              ultimi due aspetti sarebbe forse meglio considerare l'insieme di 
              tutti í dischetti, invece di uno singolo, per dare maggior 
              senso all'alternativa fra condivisione e autarchia dei dati registrati).
 Un altro esempio consiste nel dire che se consideriamo come Brahman 
              il presente foglio (senza alcuna altra caratterizzazione) allora 
              Ishvara é questo stesso foglio sul quale però possiamo 
              disegnare i due quadrati concentrici rappresentanti Hiranyagarbha 
              e Virat (vedi figura 1). Chiaramente pur essendo Ishvara dappertutto 
              (tutto il foglio é Ishvara!), lo possiamo cogliere nella 
              sua "purezza" solo all'esterno dei due quadrati, là 
              dove non c'é alcuna "presenza" formale.
 
   |  |